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Make sense, Premium Planner, Digital Marketing, Comunicazione

09 Mar 2020

Quando il racconto non è solo una descrizione, entra in gioco lo storytelling, uno strumento emozionale, efficace e magico. Cosa serve per uno storytelling? In che campo possiamo applicare lo storytelling, ma soprattutto: perché? Forse non tutti sanno che…

L’uomo è un animale sociale la cui più grande esigenza è quella di comunicare, e l’arte di raccontare storie è antica come l’uomo.

Il racconto è talmente efficace che lo si è applicato in vasta scala, tra cui il marketing e in azienda: da qui nasce lo Storytelling, che si fa largo negli USA e in Europa con il boom economico agli inizi degli anni ’90 come arma potentissima, ad esempio nella comunicazione politica oltre che in formazione, nell’istruzione e ovviamente nella pubblicità. Dietro le campagne elettorali più impegnative e vincenti, si nascondono le più sofisticate tecniche dello storytelling management e del digital marketing.

Quando si parla di storytelling, si fa riferimento ad un universo di valori, significati, simboli che raccontano e comunicano l’azienda ai suoi stakeholder, ma fare storytelling, però, non significa semplicemente raccontare storie, ma creare universi narrativi che, attraverso una serie di attività comunicative, possono aiutare l’azienda ad emozionare e coinvolgere il pubblico. Attenzione, parliamo di storie, non di favole! 

Lo storytelling è l’abilità di trasformare un messaggio chiave in una storia interessante ed emozionante. La componente emozionale è alla base della sua efficacia, più suscitiamo empatia e coinvolgimento, più la nostra narrazione ci porterà alla meta, è importante quindi mettere un po’ di noi stessi nella storia, parlare di noi, creare un collegamento, coinvolgimento emotivo per far sentire un po’ meno solo il nostro pubblico e condividerne i pensieri, questo creerà un punto di partenza solido: la fiducia.

Quella sincera però.

Si, perché la carta vincente è adottare un linguaggio vero e sincero che ricorda il passato ma che migliori il futuro.

Certo vanno considerate l’emozione e l’empatia, ma si parla anche di unicità perché in un mercato così competitivo, veloce, consumistico, in continua evoluzione e incline a creare bisogni non bisogni, fa la differenza il proporre un prodotto UNICO. Il consumo non è più un modo per soddisfare bisogni primari, né uno strumento per combattere la lotta di classe. Oggi i prodotti e i servizi, dalle scarpe che indossiamo ai libri che leggiamo, dai luoghi che visitiamo al tipo di pasta che abbiamo nel piatto, servono per definire la nostra identità: chi siamo, come vogliamo essere agli occhi degli altri e come ci rapportiamo col mondo. Per questo chi compra una maglietta, o un vino o una poltrona, non vuole solo un indumento da indossare, una bevanda da bere o un complemento di arredo su cui sedersi, ma vuole un prodotto che possa inserirsi armoniosamente nel suo racconto autobiografico, che parli di loro stessi, fatto di attenzione all’ambiente, piuttosto che di conoscenza della storia dell’arte, del design, di passione per le finiture artigianali...

I prodotti diventano quindi narrazioni, che definiscono legami immaginari tra coloro che li possiedono, creando appartenenza ad una sorta di clan ed assumono così una valenza totemica: esistono prima come concetto mentale e poi come oggetto.

La storia di un brand o di un prodotto appartiene solo a lui ed a ciò che lo differenzia dai suoi principali competitors e l’artigianalità lo sa benissimo, soprattutto quando messa a confronto di grandi catene. La storia della loro azienda, magari a conduzione familiare, fa la differenza!

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